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 Remo Piccinotti

Remo Piccinotti, di professione progettista meccanico, è un grande appassionato  di meteorologia. Dispone di numerosi dati relativi al clima del territorio Botticinese e Bresciano da lui raccolti ed archiviati negli ultimi 35 anni e cura questa pagina. Tutti i dati riportati sono comunque frutto di raccolta personale e empirica. Non hanno pretesa di ufficialità.

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PREVISIONI METEO. COME SI FACEVA UNA VOLTA?  

Personalmente sono più attratto dalla curiosità di scoprire quale sarà il futuro della meteorologia, tuttavia spesso ci si sente rivolgere questa domanda: «Come facevano una volta? Come facevano nel Medioevo? Come facevano gli uomini primitivi?» Bella domanda, ma a tutto c’è una risposta. Mettiamo subito il cuore in pace. La previsione meteo è vecchia quanto l’uomo. Pensate che per le popolazioni primitive non fosse importante conoscere il meteo in anticipo? Lo era, e come! I preistorici si dedicavano essenzialmente alla caccia, alla pesca, alla pastorizia, alle più elementari forme di agricoltura, essenzialmente alla ricerca del cibo per sopravvivere. E’ facile intuire che l’andamento meteo spesso determinava la differenza tra la vita e la morte. Purtroppo non erano in grado di prevedere nemmeno cosa sarebbe accaduto dopo poche ore. A quell’epoca l’unico strumento era l’osservazione in tempo reale del sole, della pioggia, del tuono, della neve. Quindi la previsione precedeva solitamente di pochi minuti l’evento stesso. Insomma gli restava il tempo necessario per ripararsi in una grotta o in una capanna, sempre che non si trovassero lontani dal villaggio. Quando sentivano il tuono, si aspettavano imminente la pioggia e quando il gelo si faceva più intenso e il cielo si copriva di nuvole, sospettavano che sarebbe caduta la neve. Più che altro comunque ritenevano questi cambiamenti come dei messaggi, dei premi o dei castighi dei loro idoli. Con l’arrivo delle prime grandi civiltà, quali gli Assiro-Babilonesi, gli Egizi, si fece un primo salto di qualità. L’osservazione della volta celeste, il sorgere e il tramontare di certe costellazioni, li aiutò a capire e a prevedere per lo meno l’alternarsi delle stagioni. Non c’entrava assolutamente nulla con la previsione del tempo, ma fu utilissimo a prevedere con largo anticipo l’arrivo della stagione delle piogge. Popolazioni che traevano tutta la loro ricchezza e fertilità dalle inondazioni del Nilo o del Tigri e Eufrate potevano pianificare il momento in cui preparare il terreno, allontanarsi dalle rive del fiume e ritornare dopo il ritiro delle acque. Quindi, nessuna possibilità di previsione giornaliera, ma ampia e buona approssimazione nella previsione stagionale. Il discorso valeva anche per le popolazioni indiane. Quando sentivano l’afa aumentare di giorno in giorno, le nubi sempre più dense e più basse, sapevano che nel giro di due, tre, al massimo cinque giorni, il monsone sarebbe arrivato e per alcune settimane avrebbe scaricato un’enorme quantità di pioggia. Ringraziavano i loro dei che per un altro anno gli consentivano di seminare, raccogliere e vivere. Poco importava a loro che in quel particolare periodo dell'anno si verificasse lo scontro delle masse d’aria calde e umidissime dell’Oceano Indiano con le fredde correnti dell’Himalaya. Già nel 3000 a.c. in Mesopotamia venivano documentate informazioni meteo su tavole di argilla per tramandarle ai posteri. Si tende a considerare Aristotele il primo meteorologo poiché scrisse un libro intitolato: Meteorologica, cioè “Studio di ciò che sta sospeso in cielo”. Abili meterologhi furono i Romani che dovevano pianificare le loro campagne militari dal deserto alle fredde terre del nord Europa. Ma anche per la costruzione di strade, di acquedotti ecc. Purtroppo anche a quei tempi, che possiamo considerare dalla nascita di Cristo fino a parecchi secoli successivi, l’analisi si basava soprattutto sull’osservazione delle stelle e dei pianeti. Nonché dalla considerazione in cui si teneva la benevolenza o meno dei vari dei. Quindi, dal punto di vista delle previsioni giornaliere eravamo ancora al livello degli uomini primitivi anche se, la necessità di spostarsi via mare cominciava ad avvicinarli allo studio della ciclicità dei venti, delle correnti e della diversa temperatura delle masse d’aria. Ma per avere una vera rivoluzione nell’osservazione dei fenomeni atmosferici bisogna arrivare al 1500, all’epoca dei primi grandi navigatori, quali Cristoforo Colombo, Magellano, Vasco da Gama, che contribuirono in modo determinante a capire i venti, le correnti marine, la direzione delle tempeste. Contemporaneamente avvennero alcune scoperte determinanti: -L’invenzione del termometro da parte di Galileo Galilei nel 1600, che fu anche condannato come eretico perché osò affermare che la terra era una palla e che ruotava intorno al sole. -L’invenzione del barometro, da parte di Evangelista Torricelli, nei primi anni del 1600. -L’invenzione e la diffusione della stampa che favorì la pubblicazione  delle scoperte e dei primi dati di temperatura, umidità, pressione in modo che tutti coloro che sapevano leggere e soprattutto tutti coloro che si occupavano di scienza li potessero analizzare. -Ci fu il primo tentativo di raccogliere e mettere in rete con sistematicità dati meteorologici. Lo si deve al Granduca di Toscana che nel 1653 stabilì delle osservazioni con medesimi orari e condizioni a Firenze, Parma, Pisa, Milano. Contemporaneamente iniziative analoghe nascevano in Inghilterra e Germania. Un altro salto di qualità avvenne a cavallo del 1800 e soprattutto dal 1843 con la scoperta del telegrafo che permise lo scambio in tempi rapidi dei dati raccolti e il confronto in tempo reale. Questo divenne importantissimo per programmare soprattutto le campagne militari, così come lo spostamento di flotte per ingaggiare battaglia con le condizioni meteo favorevoli. Si cominciò a capire come una grossa perturbazione sull’Europa centrale, in un paio di giorni generalmente raggiungeva l’Europa Orientale e il Mar Nero. Si imparò a monitorare giorno per giorno l’avanzata del gelo Russo verso l’Europa e a trarne le dovute precauzioni. Per arrivare alla meteorologia moderna bisogna attendere il 1920, quando per opera del norvegese Bergen si iniziò un’analisi dei dati e degli spostamenti delle masse cicloniche su scala internazionale con l’ausilio di carte sempre più globali e dettagliate. Iniziò insomma quel paziente e meticoloso lavoro di collegamento dei centinaia di punti di raccolta dati fino a tracciare delle carte molto simili a quelle che fino a pochi anni fa ci presentava il colonnello Bernacca e non dissimili da quelle che vediamo ancora oggi nei vari meteo televisivi. Nel 1930, 1940 poi, con l’arrivo del volo aereo e la nascita dei palloni sonda, si capì l’importanza di conoscere i dati non solo al suolo, ma anche a 3000 metri, e soprattutto a 5, 10 mila metri, dove le grandi correnti a getto determinano gli andamenti ondulatori e ciclici delle perturbazioni. Intanto sulla terra la gente comune, i contadini, continuavano nell’osservazione del cielo e, pur con tutta l’esperienza tramandata dai padri e dai nonni, non potevano andare al di là della previsione di un giorno, forse due nei casi più fortunati. Spesso poi le loro previsioni si affidavano a detti popolari, come se ne conoscono tanti ancora oggi, che avevano più a che fare con i proverbi, con la stregoneria o con la superstizione piuttosto che con l’osservazione scentifica. La diffusione delle trasmissioni radiofoniche, durante la seconda guerra mondiale cominciò a sensibilizzare in tempo reale anche sull’arrivo di grosse tempeste oppure di ondate di caldo e di freddo inteso, con alcuni giorni di anticipo, anche se le probabilità di errore erano elevate. La svolta definitiva avvenne negli anni 1970, 1980 con il lancio dei satelliti metereologici Meteosat. Questi fornivano fotografie reali dell’atmosfera a distanza di un numero di minuti ben preciso e quindi si poteva non solo dedurre, ma vedere realmente gli spostamenti delle masse nuvolose e soprattutto dei pericolosi uragani. Questi dati immessi poi nei recenti, potentissimi supercomputer, consentivano un’elaborazione attendibile degli sviluppi nelle ore successive. Più dati si raccoglievano a una distanza di tempo sempre minore e più velocemente i supercomputer li analizzavano, consentiva di elaborare carte dettagliate anche su scala regionale o provinciale e quindi di diffondere televisivamente previsioni giornaliere.
 Soprattutto la televisione ha permesso a ogni singolo cittadino di familiarizzare con le carte meteo contribuendo al formarsi di una cultura meteorologica di base anche nel comune cittadino. Noi italiani siamo stati fra gli ultimi a seguire con attenzione il meteo. Forse perché essendo in un clima mediterraneo temperato, non siamo mai minacciati da fenomeni improvvisi e violenti. Da noi purtroppo gli unici fenomeni improvvisi sono le famose alluvioni lampo generate dal mare e dall’orografia che rende quasi impossibile una previsione dettagliata anche agli esperti. Ma nelle nazioni del nord Europa, dove arrivano le grandi tempeste polari, oppure nelle grandi pianure americane, dove si sviluppano in poche ore tornado devastanti, nelle isole Caraibiche, dove nascono gli uragani, da anni sono attentissimi alle previsioni e le prendono molto seriamente. Come saranno le previsioni del futuro? Saranno molto simili a quelle attuali, ma frutto di un numero di stazioni molto più elevato e sempre più accurate anche su scala locale. Ma il cambiamento più significativo sarà dettato dall’analisi approfondita di un elemento che fino ad ora è stato il più trascurato, anche per la difficoltà che comporta. Lo studio della temperatura superficiale degli oceani e delle loro correnti darà risposte determinanti perché si è capito che l’andamento delle stagioni dipende in gran parte da esse. Non è ancora ben chiaro come avvengano i grandi cambiamenti di temperatura superficiali, che durata abbiano e come vadano a influenzare l’intero globo. Questa sarà la grande sfida di domani.  

1965 - Il giovane Don Natale Tameni, curato di Botticino Mattina dal 1962 al 1967, presenta ai ragazzi dell'Oratorio l'amicone, nonno Batistù, col quale si era instaurato un profondo rapporto di amicizia

 

Un meteorologo moderno è importante abbia un passato antico.

Come in tutte le cose ciò che si apprende da piccoli ha un sapore diverso e si deposita nella nostra mente con una efficacia e con una ricchezza di sfumature che non si riesce più a eguagliare in età adulta.

Tra i miei ricordi dell’infanzia, non poteva mancare il temporale. Per un bambino che ama osservare, il temporale è una forza misteriosa e, a maggior ragione lo era più di cinquant’anni fa, quando non c’era la televisione, non c’erano i telefoni, non c’era nulla di tutto ciò che poteva distrarci dall’osservazione diretta di ciò che ci circondava. Il temporale vissuto col nonno inoltre aveva un significato particolare. Proprio per non perdere il suono e il sapore di quelle espressioni, di cui forse siamo stati l’ultima generazione tramandataria in modo integrale, una quindicina di anni fa ho voluto scrivere, rigorosamente in dialetto, questo capitoletto.

 

I temporài al tép del nono Batistù

 

Quant chè el fàa calt, söl finì del dopomesdé vignìa spès i temporài. Lé, de colpo, mè el nono Batistù nàem en dè on mond a parte, töt nòs chè ai oter gà enteresàa néènt, o forse, perché i ga capìa déter poc.

El nono, gràs e col calùr del vì adòs, el someàa on barometro: quant che anche a l’ombra el cominciàa a sudà de piö del solito, el respìr on po’ afanùs e, le mosche someàa che le gà  l’ires töte con lü, ormai ghére capìt che riàa el temporàl.

L’era prope ona questiù de pasiensa; el nono el ma spiegàa bé le diferense dei nigoi normài da chei che sa vidìa sura el Rigù, chè i soghetàa a montà en vers el ciel: en sima semper pö bianc, sota semper pö négher.

Quant po’ i sa tacàa ensema, el vent el vignìa en sö da Resàt, el tiràa l’orecia e dopo on po’ el ma disìa: «Sét: sura Nàe i cioca le tole».

Lü el ghera l’orecia alenada, ma gò emparàt prest anche mé a distinguer le tunàde dai oter rumur.

Ma en certe circostanse, quant che el temporàl el vignìa da la Madalena, el vidìe amò pö nervùs del solito; el soghetàa a tirà l’orecia anche dopo iga sintìt a tunà.

La questiù la sa fàa pö complicada, ma lü, temporàl dopo temporàl, el ma ensegnàt töte le diferense: «Sét, a Gosàc i gà tuna sö».

L’era el segnàl pö periculùs; i contadì de la Franciacurta iera atresàcc de canù antitompesta e l’orecia alenada la distinguìa i colpi en mès a le tunàde.

Ghè de saì che alura de machine gà n’era prope mia, i medoler, el dopo mesdé, i ghera za dismitìt de laorà, e töt l’era silensio.

Noter göstaem prope el rumùr de le forse de la natura; naem aànti en dré per controlà töte le angolasiù, la diresiù dei nigoi négher, finchè la frase l’era quasi semper la stesa:

«L’è bröt, sota ghè i nigoi vércc, sö la Madalena sa et le prime cole e gò pora che la sapes tompesta».

Mè gò mai saìt se sére normàl, ma cheste frasi le ma mitìa ona ecitasiù che someàe màt, gnè el cine o la storia pö bela le ma dàa la stesa emusiù.

El temporàl el göstaem quasi töt a l’aperto, a secont de la diresiù del vent, o al masimo sa mitìem co la scagna e co on sgabilì apena deter del purtunsì e sal tiràem el pö pusibil tacàt al cül perché la nona Angilina la ghera semper pora dei fulmen e frèt a le caéce.

Quant che l’acqua l’era verament tanta, vignìa zo töta fanga e gèra dal stradilì; sa fàa ona specie de làc ensima al cemento e staem atenti bé che sa stopàes mia el büs che scaricàa l’acqua en del fòs de dré del mür, se nò el sarés stat on disastro.

En chesti momencc mè curìe fin söl spigol de la casa per vardà se el rodel che pasàa en mès a l’ort el nàa de sura; go de eser sincér, mè gudìe on mont a idìl straripà.

L’era mia de la stesa upiniù el nono chè töte le olte el sà encapelàa.

Se po’ ghera deter on quat grà de tompesta, finìt de piöer naem a controlà le verdure giöna a giöna.

L’insalatina, i ridicì e le erbe iera quasi semper on disastro; i pomdòr poc gà mancàa, cornasèi, roaiòt, vers e brocoi iera mìa i sé delicacc. Però dipindìa tant dal tipo e da la quantità de la tompesta; se l’era puciada dal vent, ma recorde, la spacàa sö töt.

El nono töte cheste diferense el ma ià spiegade sentenér de olte e mè io piö desmentegade. La diresiù, la forsa, el tipo de tompesta de on temporal, me i reconose amò adès a öcc saràcc.

En conclusiù sa cunsulaem co le carote, le patate, i raànei, le sigole e i segolòcc;  i patìa mia fés la tompesta, per lur l’era a sé copà töte le secarole che ghera en giro e l’ort l’era salvo.